FITA NAZIONALE / FESTA DEL TEATRO – Intervista al drammaturgo Gianni Clementi

Gianni Clementi ama le tragicommedie,
si considera principalmente un autore drammatico e dice di scrivere
per il teatro perché è così che le frasi gli si costruiscono nella
testa, una dopo l’altra, a formare un dialogo.
Tra i drammaturghi contemporanei più
rappresentati in Italia e applaudito anche all’estero,
amatissimo dalle compagnie amatoriali e a sua volta molto vicino al
mondo amatoriale (“Dico sempre di sì a chi vuole mettere in scena
una mia commedia”, afferma), Clementi è stato tra gli ospiti della
30ª festa del Teatro, protagonista di una vivace conversazione
tenutasi a Roma Ostia sabato 30 settembre, condotta da Fiammetta
Fiammeri nella sua veste di direttrice artistica della
manifestazione.
Prima di quell’incontro, gli abbiamo
rivolto qualche domanda.

Cosa porta un autore a decidere di
scrivere per il teatro?
Il teatro è una malattia: ti resta addosso e non riesci a togliertela
più, non ne guarisci. Spesso mi è capitato di voler scrivere
un’altra cosa, magari un romanzo o altro; ma poi, inevitabilmente,
i personaggi prendono vita e diventano azione: e la scrittura diventa
teatro. Ormai mi sono arreso a questa piacevolissima “condanna”:
mi viene talmente spontaneo scrivere teatro, che lo scrivo e basta.
Ognuno ha il suo ambito-mestiere-specializzazione; non si può fare
tutto, bisogna scegliere: se riesco a scrivere per il teatro e
qualcuno mette in scena le mie cose, allora significa che davvero il
mio ambito è quello, e lo trovo molto soddisfacente.

Come decidere quale storia
raccontare tra le tante che passano per la mente?
Non è semplice scegliere. Le mie
storie hanno in genere un’incubazione piuttosto lunga: mi può
venire un’idea e magari rimane in un angoletto finché poi, pian
piano, la vita, l’esperienza, ti porta a somatizzarla, a renderla
materia viva. Le idee fantastiche possono venire a tutti, il problema
poi è scriverle, riuscire a rendere le idee materia agita. Nel mio
caso l’incubazione in genere è piuttosto lunga, ma la scrittura è
molto rapida.

Qual è il ruolo di un autore di
teatro oggi?
Credo che un autore debba essere
testimone del proprio tempo: questi non sono tempi né poetici né
fantastici, dal punto di vista etico e morale; l’autore non può
far finta che tutto ciò non accada.

Lei tocca spesso nervi
scoperti, porta sulla scena storie scomode…

La mia cifra è tragicomica,
decisamente. È importante che il sorriso non sia fine a se stesso:
scrivere una commedia fine a se stessa, oggi, non lo trovo molto
significativo. I tempi in cui viviamo sono difficili, complicati: per
questo nelle mie commedie inevitabilmente c’è molta amarezza.

Ma passare questi messaggi proprio
attraverso il teatro che cosa dà in più?
Credo che in questo senso il teatro
abbia una potenza a sé. Paradossalmente, parliamo di un ambito e di
un pubblico ristretto; ma questo pubblico ha una forte spinta, c’è
un “motivo” che lo porta a prendere, uscire, cercare un
parcheggio, pagare un biglietto per andare a teatro, pur con la
televisione che imperversa ad ogni ora. È incredibile. Il teatro
ancora oggi ha una forza intrinseca senza eguali: per tutte queste
ragioni lo spettatore che va a teatro può portarsi a casa qualcosa
di importante.

Gli autori di teatro, quindi, hanno
una resposabilità particolare?
Credo sia una grande responsabilità.
Ormai si va sempre più verso un teatro di intrattenimento, richiesto
dalle produzioni, che vogliono spettacoli brillanti, sostenendo che
la gente vuole ridere, non vuole pensare ai problemi… Ma la gente
non è stupida. Magari vuole anche ridere, certo. Ma ripeto che di questi tempi,
con quello che viviamo ogni giorno, penso che la risata fine a se
stessa sia anacronistica.

Pensa che in questo senso il teatro
amatoriale potrebbe rivestire un ruolo importante?
Ho grande stima del teatro amatoriale:
il fatto che delle persone decidano, dopo una giornata di lavoro, di
non buttarsi sul divano davanti alla tv ma di vedersi, sedersi
attorno ad un tavolino a leggere un copione, penso sia già eroico di
per sé. Proprio per questo, va benissimo che ci siano compagnie che
decidano di focalizzarsi più sul teatro d’intrattenimento, ma
penso che proprio il teatro amatoriale potrebbe osare un po’ di
più, avere un po’ più di coraggio e di curiosità. Compagnie che
lo fanno ci sono, e anche molto bene. 
Gianni Clementi, qui con la direttrice artistica della Festa 2017, è stato protagonista di una conversazione sulla drammaturgia e sul ruolo della scrittura teatrale oggi